Recensione di GAAEL – Terzo Testamento Di Stefano Erario
“GAAEL” è un libro impossibile da collocare entro i confini tradizionali. Non è un romanzo, non è un saggio, non è un diario visionario e non è una profezia. È, piuttosto, un luogo. Un varco psico-spirituale, una soglia narrativa che chiede al lettore non soltanto di leggere, ma di lasciarsi leggere. L’opera, maturata dall’Autore Giorgio Genso in 27 anni di scrittura e rivelazioni, si presenta come il Terzo Testamento, e lo fa con una sincerità disarmante: non pretende di convincere, ma invita a sperimentare. Chi entra nelle sue pagine avverte subito la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa che non mira alla mente soltanto, bensì al livello più sottile della coscienza. Il testo stesso parla di sincronicità, di fenomeni psichici, di eco profetiche, e lo fa con una forza che non sembra imitata, ma vissuta.
Il personaggio di Erieder, polo magnetico di tutta l’opera, è presentato come un mistero vivente, un uomo comune e, allo stesso tempo, un ponte verso ciò che eccede il comune.
La scrittura lo avvolge di contraddizioni simboliche: Messia o Anticristo? Saggio o folle? Guida o specchio?
Questa ambiguità non è debolezza letteraria, ma parte della tessitura iniziatica. È un modello archetipo che ricorda il Maestro interiore delle tradizioni sapienzali, l’ombra e la luce fuse nella stessa voce.
Uno dei punti più potenti del libro è l’intuizione di Pangea come dimensione parallela, non una semplice utopia sociale, ma un luogo interiore in cui l’essere umano recupera lo stato originario, “infantile” nel senso più alto, stupore, libertà. È qui che emerge con chiarezza la natura dell’opera come una favola sacra, un invito a ricordare la parte di noi che non ha mai smesso di sapere. Sul piano simbolico-profetico, il testo intreccia con audacia riferimenti biblici, mistici, storici e visionari, i 144.000, Melchisedek, la cometa Hyakutake, la voce degli antichi veggenti.
Tutto converge verso l’idea che l’Apocalisse non sia un disastro, ma un passaggio, un cambiamento inevitabile che trasforma ciò che è corrotto affinché emerga ciò che è vero. Questo è uno dei meriti dell’opera, sottrarre la parola “Apocalisse” alla paura e riportarla al suo significato originario, rivelazione. Molto in linea con il mio pensiero e la mia visione spirituale.
La scrittura a volte è ruvida, a volte poetica, a volte spiazzante, ma sempre sincera. Si percepisce il peso esistenziale di chi ha combattuto con sé stesso e con il mondo, come d’altronde tutti i grandi iniziati, e ha lasciato che la propria vita diventasse materia narrativa, come gli antichi autori che non distinguevano fra biografia e mito. “GAAEL” è dunque un libro destinato a dividere, chi cerca logica lineare o conforti razionali lo rifiuterà; chi invece sente il richiamo del simbolo, dell’invisibile, del destino, lo percepirà come una chiave. Una chiave per un mondo che non è geografia, ma stato di coscienza. È un testo che non si legge ma che accade. E, come tutte le opere nate da un’urgenza spirituale autentica, non lascia mai il lettore uguale a prima. Stefano Erario